Skip to main content

QUI POSTULAZIONE #20 ▪ Il Papa missionario

Dieci anni fa veniva canonizzato Giovanni XXIII.

Non solo il Papa buono, il Papa del sorriso, ma anche il Papa del PIME, che nel “Proprio” liturgico dell’Istituto ne fa memoria il 27 aprile. Lo stesso giorno in cui nel 2014 il pontefice è stato canonizzato assieme a Giovanni Paolo II.

Grande infatti è la stima e l’affetto da sempre nutrito dal PIME per Angelo Roncalli, il quale non mancava di ricordare con piacere quanto accadutogli nell’autunno del 1910: poter consegnare presso la Casa Madre dell’Istituto a Milano i crocifissi ai missionari partenti. Una visita della quale avrebbe poi detto: «Nelle conversazioni confidenti con alcuno degli anziani tornati dai campi di evangelizzazione, mi sentivo come preso da una edificazione e da tenerezza ineffabile, che non era ancora a tal punto da accendere in me una vocazione missionaria, ma educava il mio spirito alla ammirazione per chi si sentiva chiamato e rispondeva correndo per quella via audace e misteriosa».

Allora Don Angelo era segretario particolare del Vescovo di Bergamo e quello fu uno dei suoi primi contatti con la realtà missionaria al servizio della quale fu chiamato, tra il 1920 e il 1926, come Presidente del Consiglio Nazionale Italiano dell’Opera della Propagazione della Fede. «Anni passati a Propaganda Fide – avrebbe scritto –, durante i quali, tra altre esperienze, avemmo occasione di conoscere di persona tanti Missionari, di apprezzarne la solida formazione, l’ardente spirito apostolico, i sacrifici noti soltanto a Dio». Chiamato a coordinare la cooperazione missionaria in Italia si ritroverà accanto a Padre Paolo Manna, futuro superiore generale del Pime e fondatore della Unione Missionaria del Clero nel 1916, alla quale era stato uno dei primi ad iscriversi.

Se le spoglie mortali del suo Fondatore riposano a Milano, il PIME lo deve proprio a Roncalli, che da Patriarca di Venezia, come lo è stato Angelo Ramazzotti, ne ha accolto la richiesta di traslarle dalla città lagunare. Lui stesso le ha anche accompagnate durante il viaggio conclusosi il 3 marzo 1958 nella Chiesa di San Francesco Saverio.

Così è sempre grazie a lui se l’Istituto, per il quale egli ha sempre mostrato grande ammirazione, può tutt’oggi disporre della sua casa natale a Sotto il Monte. Una donazione che è stata sempre a cuore al pontefice, così come il Seminario missionario costruitovi accanto e del quale ha benedetto la prima pietra il 18 marzo 1963 e con affetto ne ha fatto ricordo prima. Doni fatti con affetto e ricordati con queste parole a missionari del PIME che gli hanno fatto visita poco prima che morisse il successivo 3 giugno: «Sono contento di partire da questa terra pensando che dal mio piccolo paese partiranno tanti missionari per portare al mondo Gesù e il suo amore».

Del suo breve pontificato, rimangono tante altre manifestazioni di affetto per l’Istituto e le Missioni.

Tra di esse quanto accaduto l’11 ottobre 1959 nella Basilica di San Pietro: la consegna del Crocifisso a 510 missionari, dei quali quindici del PIME, a cui ha rivolto anche queste parole in una omelia dalla quale emerse il suo profondo animo missionario: «Diletti figli! L’immagine del Crocefisso, che abbiamo consegnata a ciascuno di voi, come suggello e viatico della vostra missione, vi ricorderà la via da percorrere per assicurare piena fecondità al vostro lavoro. Il Cristo confitto sul legno, annientato dal doloroso supplizio, tende le mani come per abbracciare tutti gli uomini. Egli vi insegnerà a qual prezzo si ottiene la salvezza del mondo. Egli è il modello e l’esempio da seguire: “a Lui arriva solo chi cammina – sono ancora parole di S. Leone – per il sentiero della sua pazienza e della sua umiltà. In tale cammino non manca la pena affannosa della fatica, né la nube della tristezza, né la procella della paura. Voi troverete le insidie dei cattivi, le persecuzioni degli infedeli, le minacce dei potenti, le offese dei superbi: tutte cose che il Signore delle virtù ed il Re della gloria – Dominus virtutum et Rex gloriae – ha percorso nella figura della nostra infermità ... proprio perché, fra i pericoli della vita presente, non desideriamo di scansarli con la fuga, ma piuttosto di superarli con la pazienza” (Serm. 67, 6; PL 54, 371‑2). Non riponete fiducia in altre astuzie o sussidi di umana ispirazione».

 

In allegato il testo integrale della Omelia dell’11 ottobre 1959

  • Creato il .